mercoledì 28 maggio 2014


DESCRITTI: UN ROMANZO DI DENUNCIA POLITICA E SOCIALE, DOTATO DEL NECESSARIO HUMOUR PER FISSARE AL MEGLIO LE IDEE

 




 

LA BASE ATOMICA

di Halldór Laxness

Titolo: La Base atomica

Autore: Halldór Laxness

Pagine: 272

Editore: Iperborea

 

La base atomica è uno di quei libri che sfuggono a ogni etichetta.

Halldór Laxness, premio Nobel nel 1955, lo scrisse nel 1947, anticipando la realtà con occhio e acume quasi profetici.

Il romanzo fu censurato all’epoca della guerra fredda per via di una frettolosa analisi politica figlia di quei tempi, ma viene riscoperto in Italia grazie ai tipi di Iperborea.

Nel testo la prima cosa a sorprendere è l’attualità e la freschezza del linguaggio, per tacere dei molteplici livelli di lettura possibili.

Quando inizi a parlarne, cominci a pensarlo come un romanzo di denuncia sociale, poiché si parla di un popolo al margine tra le inconsuetudini legate all’arrembante modernità e la forza del legame col passato.

L’emancipazione fisica, morale, biologica, culturale della donna, è brillantemente affrontata incentrandola nella figura splendida e straordinariamente fragile e umana di Ugla, la protagonista.

La semplicità della donna che viene dal nord, da quelle zone dell’isola in cui il tempo sembra essersi fermato, stride con l’accozzaglia di abitudini moderne e finzioni tragicomiche che affliggono gli abitanti di Rejkjavik, almeno nelle persone con cui Ugla viene in contatto.

Ugla, fascinosa donna di formazione e provenienza contadina, non può che risentire del forte impatto con la vita di casa del deputato Arlánd, dove soggiornerà per un breve periodo svolgendo mansioni da cameriera. In tale contesto, non riesce a sfuggire all’acidità mai velata della moglie di Arlánd, ai (tanti) vizi e le (poche) virtù dei figli del deputato, nonché il fitto sottobosco di figli di papà, politici ondivaghi e profittatori che frequentano la famiglia.

Sua è la voce narrante, una voce intrisa di vivo umorismo quando narra certi passaggi, ma anche tesa in una malinconia senza tetto quando parla di sé stessa, dei rapporti con la società che è sul bilico della definitiva trasformazione, senza però essere assolutamente pronta.

Ugla conoscerà personaggi strani, surreali come l’organista, il quale infiorirà ogni suo intervento con una filosofia di vita pregna di poesia e di saggezza, unica in un contesto in cui spesso i protagonisti sembrano perdere l’identità e andare a spasso per strade che possono allontanarli per sempre dal vero significato dell’esistenza. Tra questi emergono anche altri, come il dio Brillantina, il poeta atomico e la prostituta Cleopatra, così tratteggiati da sembrare un assurdo riempimento ma godibilissimi nell’insieme.

Giuliano D’Amico, nella postfazione al romanzo, ne sottolinea l’aspetto surreale scrivendo: “… L’essenza dell’organista e della sua «comune» è quasi onirica (siamo sicuri che non sia solo un sogno? Del resto Ugla è l’unica a vederli e frequentarli…)”.

Il romanzo è leggibile anche sotto altri punti di analisi, come una sorta di gioco di scatole cinesi.

La denuncia sociale lascia lo spazio ai richiami del passato, a cenni della tradizione isolana e al consolidamento di un’unità fondata sulla difesa della propria storia (la questione delle ossa del Prediletto, il poeta Hallgrìmmsson sepolto in terra straniera e dell’argilla danese), anche per difendere la propria terra e soprattutto il popolo dalla totale perdita d’identità.

La questione dell’accordo con gli Stati Uniti (davvero siglato nel 1946 come accordo di Keflavík) che avrebbe consentito agli americani di controllare la Germania all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, rimbalza più volte nel romanzo, a volte sotto forma di terrore per l’avvento dell’atomica a volte tirando in gioco le proteste (condivise in vita dallo stesso Autore) contro la “Vendita dell’Islanda”.

Il romanzo assume anche i contorni di una stuzzicante poesia, di un’espressione di dignità che non stupisce provenga propria da parte di Ugla, messa di fronte a una gravidanza inattesa e forte di quei valori che solo la sua personalità semplice e genuina poteva conservare, nonostante tutto.

Ed è lei, in conclusione, ad attingere alle parole dell’organista; la sintesi del discorso dell’Autore la trovi anche nel concetto dell’Islanda che continuerà a esistere, anche dopo che sarà scoppiata la bomba atomica, perché quando quest’ultima “…avrà raso al suolo le città che sono rimaste indietro rispetto all’evoluzione, sorgerà la cultura delle campagne, la terra diventerà il giardino che non è mai stata  se non nei sogni e nelle poesie…”.

E allora perché non credere che, nonostante tutto, il nostro futuro sia nelle cose semplici che già ci attorniano, che abbiamo imparato a conoscere fin da piccoli, quando eravamo ingenuamente liberi di scoprire, e quando abbiamo ammirato la struggente bellezza e l’incomparabile perfezione di un fiore, simbolo di una rinascita sempre possibile?

venerdì 16 maggio 2014


DE-SCRITTI: DUE IN UNO. UNA PATRIA, DUE AZIONI, UNA VITA O UNA DOPPIA VITA?

                                                                                           


DUE IN UNO

di Sayed Kashua

Titolo: Due in uno

Autore: Sayed Kashua

Pagine: 352

Editore: Neri Pozza

 

Cominciamo con una frase.

«Ti ho aspettato e non sei venuto. Spero che vada tutto bene. Volevo ringraziarti per la notte scorsa, è stata meravigliosa. Mi chiami domani?».

 Cosa fareste voi, se trovaste un foglietto con sopra scritta una frase del genere, per di più con la grafia di vostra moglie?

Questa frase è l’espediente narrativo su cui ruota una mia piacevole scoperta bibliografica: il romanzo Due in Uno di Sayed Kashua, edito da Neri Pozza nella collana Bloom.

Meglio però precisare una cosa: dietro non c’è solo una storia di gelosia, ma un’architettura dell’intreccio e del intrigo direi eccellente, sorprendente, curiosa, avvolgente.

La trama del romanzo si dipana lungo due binari; le due parti della storia sono scandite da un punto di vista narrativo diametralmente opposto.

Interessante anche la scelta del titolo di ogni paragrafo: sostantivi, verbi, località, oggetti, spezzoni di frasi.

Tutti si ritrovano nel testo del paragrafo cui si riferiscono, messi lì quasi fossero un pro memoria, ma che secondo me hanno un significato nascosto che sarebbe bello indagare.

Di cosa parla, allora, Due in uno?

Da una parte, c’è la figura di un avvocato arabo in carriera, residente a Beit Safafa (il quartiere più ricco di Gerusalemme) il quale conduce una vita agiata, da protagonista, con una famiglia felice. Il suo unico cruccio è una scarsa cultura, e per ovviare a questa pecca e non sentirsi inferiore alle proprie frequentazioni sociali, egli acquista periodicamente libri consigliati da Ha’aretz, rivista di settore.

Tra questi suoi acquisti, un giorno gli capita tra le mani una copia gualcita de La Sonata a Kreutzer di Tolstoj. Sua moglie, un giorno, glielo aveva nominato, senza poi tornarci più sopra.

All’interno del libro, un sera, l’avvocato trova un biglietto con la frase che avete letto all’inizio di questa recensione.

Quella frase rappresenta la svolta del romanzo.

Con quella frase inizia ad aprirsi una voragine sotto il pavimento di certezze che l’uomo pensava di aver costruito.

Insicurezza, dubbi, titubanze, un’improvvisa cattiveria si fanno strada nell’animo dell’avvocato.

Inoltre, il risveglio dell’orgoglio arabo ferito, la gelosia che lo attanaglia, tutto concorre nel modificare il suo comportamento, mutando il sospetto in fissazione. Seguire la moglie per le strade di Gerusalemme, controllandone spostamenti e verificando ogni suo passo diventa la conseguenza più ovvia di tale stato d’animo.

Dall’altra parte, la storia viene narrata in prima persona da un altro arabo, Amir, il co-protagonista del romanzo. Giovane assistente sociale, Amir vede la propria vita mutare in seguito all’assistenza a un giovane israeliano (Yonatan) in stato vegetativo, trovando suo malgrado la strada per il proprio ingresso nel mondo, seppur contraddittorio, in cui vivono due realtà diverse come quella araba e quella ebraica.

La contrapposizione esiste, a livello culturale, economico, umano, questo è indubbio. E allora chi meglio di uno che la vive, che la conosce per presa diretta, poteva descrivere il dedalo di intrecci e la straripante fonte di confronto che emerge dalla coabitazione forzata in quei territori?

Tornando alla storia in sé, alla trama, ho già detto che essa viene condotta lungo due binari separati con stile, con tono incalzante.

Pagina dopo pagina, il lettore si chiede continuamente non solo come andrà a finire, ma il perché dei singoli passaggi, apparentemente scollegati ma agganciati in un modo lucido fino alla parte finale.

Infatti i binari, contrariamente al parallelismo infinito, in questo caso a un certo punto s’incontrano, e quando ciò accade portano a nuove scosse e modifiche nelle vite dei protagonisti.

Come ciò accada e quale sia il punto in comune delle due parti della storia non ho alcuna intenzione di rivelarlo.

Sarà bello scoprire da voi, leggendo le pagine di questo interessante testo acclamato dalla critica e dal pubblico in Israele, tutto quanto io non vi abbia rivelato (ed è il più, è chiaro).

Così avrete anche il piacere di assaporare il sorprendente finale.

Concludo con una frase, questa volta di mio pugno:

«Leggere le culture altrui è il modo migliore per ampliare la propria; leggere le parole altrui è il modo migliore per capire le persone. Se siete d’accordo con me, non fatevi sfuggire questo libro.

F.to Enzo D’Andrea».