DESCRITTI: UN ROMANZO DI DENUNCIA POLITICA E SOCIALE, DOTATO
DEL NECESSARIO HUMOUR PER FISSARE AL MEGLIO LE IDEE
LA BASE ATOMICA
di Halldór
Laxness
Titolo: La Base atomica
Autore: Halldór Laxness
Pagine: 272
Editore: Iperborea
La base
atomica è uno di quei libri che
sfuggono a ogni etichetta.
Halldór Laxness, premio Nobel nel 1955, lo scrisse
nel 1947, anticipando la realtà con occhio e acume quasi profetici.
Il romanzo fu censurato all’epoca della guerra
fredda per via di una frettolosa analisi politica figlia di quei tempi, ma
viene riscoperto in Italia grazie ai tipi di Iperborea.
Nel testo la prima cosa a sorprendere è l’attualità
e la freschezza del linguaggio, per tacere dei molteplici livelli di lettura
possibili.
Quando inizi a parlarne, cominci a pensarlo come un
romanzo di denuncia sociale, poiché si parla di un popolo al margine tra le
inconsuetudini legate all’arrembante modernità e la forza del legame col
passato.
L’emancipazione fisica, morale, biologica,
culturale della donna, è brillantemente affrontata incentrandola nella figura
splendida e straordinariamente fragile e umana di Ugla, la protagonista.
La semplicità della donna che viene dal nord, da
quelle zone dell’isola in cui il tempo sembra essersi fermato, stride con
l’accozzaglia di abitudini moderne e finzioni tragicomiche che affliggono gli
abitanti di Rejkjavik, almeno nelle persone con cui Ugla viene in contatto.
Ugla, fascinosa donna di formazione e provenienza
contadina, non può che risentire del forte impatto con la vita di casa del
deputato Arlánd, dove soggiornerà per un breve periodo svolgendo mansioni da cameriera.
In tale contesto, non riesce a sfuggire all’acidità mai velata della moglie di
Arlánd, ai (tanti) vizi e le (poche) virtù dei figli del deputato, nonché il
fitto sottobosco di figli di papà, politici ondivaghi e profittatori che
frequentano la famiglia.
Sua è la voce narrante, una voce intrisa di vivo
umorismo quando narra certi passaggi, ma anche tesa in una malinconia senza
tetto quando parla di sé stessa, dei rapporti con la società che è sul bilico
della definitiva trasformazione, senza però essere assolutamente pronta.
Ugla conoscerà personaggi strani, surreali come
l’organista, il quale infiorirà ogni suo intervento con una filosofia di vita
pregna di poesia e di saggezza, unica in un contesto in cui spesso i
protagonisti sembrano perdere l’identità e andare a spasso per strade che
possono allontanarli per sempre dal vero significato dell’esistenza. Tra questi
emergono anche altri, come il dio Brillantina, il poeta atomico e la prostituta
Cleopatra, così tratteggiati da sembrare un assurdo riempimento ma
godibilissimi nell’insieme.
Giuliano D’Amico, nella postfazione al romanzo, ne
sottolinea l’aspetto surreale scrivendo: “… L’essenza
dell’organista e della sua «comune» è quasi onirica (siamo sicuri che non sia
solo un sogno? Del resto Ugla è l’unica a vederli e frequentarli…)”.
Il romanzo è leggibile anche sotto altri punti di
analisi, come una sorta di gioco di scatole cinesi.
La denuncia sociale lascia lo spazio ai richiami
del passato, a cenni della tradizione isolana e al consolidamento di un’unità
fondata sulla difesa della propria storia (la questione delle ossa del
Prediletto, il poeta Hallgrìmmsson sepolto in terra straniera e dell’argilla
danese), anche per difendere la propria terra e soprattutto il popolo dalla
totale perdita d’identità.
La questione dell’accordo con gli Stati Uniti (davvero
siglato nel 1946 come accordo di Keflavík)
che avrebbe consentito agli americani di controllare la Germania all’indomani
della Seconda Guerra Mondiale, rimbalza più volte nel romanzo, a volte sotto
forma di terrore per l’avvento dell’atomica a volte tirando in gioco le
proteste (condivise in vita dallo stesso Autore) contro la “Vendita
dell’Islanda”.
Il romanzo assume anche i contorni di una
stuzzicante poesia, di un’espressione di dignità che non stupisce provenga
propria da parte di Ugla, messa di fronte a una gravidanza inattesa e forte di
quei valori che solo la sua personalità semplice e genuina poteva conservare,
nonostante tutto.
Ed è lei, in conclusione, ad attingere alle parole
dell’organista; la sintesi del discorso dell’Autore la trovi anche nel concetto
dell’Islanda che continuerà a esistere, anche dopo che sarà scoppiata la bomba
atomica, perché quando quest’ultima “…avrà
raso al suolo le città che sono rimaste indietro rispetto all’evoluzione,
sorgerà la cultura delle campagne, la terra diventerà il giardino che non è mai
stata se non nei sogni e nelle poesie…”.
E allora perché non credere che, nonostante tutto,
il nostro futuro sia nelle cose semplici che già ci attorniano, che abbiamo
imparato a conoscere fin da piccoli, quando eravamo ingenuamente liberi di
scoprire, e quando abbiamo ammirato la struggente bellezza e l’incomparabile
perfezione di un fiore, simbolo di una rinascita sempre possibile?