DESCRITTI: LE IMPRESSIONI ACUTE DI UN
INGUARIBILE SOGNATORE
ATLANTE IMMAGINARIO -
Nomi e luoghi di una geografia fantasma
di Giuseppe
Lupo
Titolo: Atlante
Immaginario - Nomi e luoghi di una geografia fantasma
Autore:Giuseppe Lupo
Pagine: 160
Editore: Marsilio
Atlante...
che nome magico è
stato questo per me quando, da spirito che iniziava a sbocciare in quel delle
elementari, trascorrevo ore e ore a percorrere strade, memorizzare nomi di
città, fiumi, mari e montagne. E immaginare mondi, geografie, genti e parlate.
Atlante immaginario? Certo, perché
no?
Sarebbe stato nelle mie corde
scriverne, peccato che l'abbia fatto già qualcun altro.
Ora, potrei rammaricarmene in
eterno, come se quel qualcuno mi
avesse rubato non dico l'idea, ma almeno l'emozione di farlo. E invece, come
avrei dovuto immaginare, quel
qualcuno l'ha fatto in maniera egregia, non fosse altro perché diversa da come
avrei fatto io.
E, nonostante questo ammanco (?),
l'ha fatto pure in maniera ricca di fascino, colta e spigliata, leggera e
arguta, accessibile a tutti pur nella sua ineffabile correttezza, perché non
stanca mai la lettura.
Ho scoperto Giuseppe Lupo non da molto, a esser sinceri. Ma, da quando è avvenuto,
sono contento di averlo aggiunto, seppur da poco, negli scaffali della mai - troppo
- sazia fame di letture.
L'ultima
sposa di Palmira e Viaggiatori di nuvole mi hanno rivelato
una penna lieve, sognante e affabulatrice, flessibile e morbida come il caucciù,
ma che quando vuole s'irrigidisce come uno stiletto e coglie nel segno,
lasciando una traccia come le orme di un passaggio importante.
Lupo sa aprire porte chiuse da
tempo, sensibilità sopite ma mai del tutto spente, venti che avvolgono con
suoni e profumi di terre lontane eppure tanto vicine a noi da non rendercene
nemmeno conto.
In quei libri, ho vissuto il saper
narrare, il sapersi lasciare nelle spire del racconto che ti avvolge come un
serpente bonario, nell'inconsistenza delle nuvole (tanto care a Lupo, vizio
comune a tutti quelli che vivono anche
di sogni).
E avverti quel senso di pellegrino
della parola, quell'essere viaggiante sospeso sui luoghi e ondeggiante in un
tempo letterario, quindi infinito.
Atlante immaginario (etc.etc.) non è però un libro di
viaggio, e non è nemmeno un romanzo.
Non è una enciclopedia, e nemmeno
una guida pretestuosa.
Non potrebbe, e in primis perché annovera scritti a cadenza che non hanno
presunzione di insegnare niente a nessuno (semmai vogliono trasmettere emozioni), osservazioni e opinioni, spesso fatte con
l'occhio del Palomar calviniano, e
cogliendo sempre nell'attuale pur divagando in quel mondo del tutto e del nulla
che tanto affascina (me stesso, in prima,
seconda e terza persona).
I testi, provenienti da una rubrica
che l'Autore teneva sull'Avvenire, coprono una serie di tematiche che l'hanno
ispirato, tra cui molte notizie che ne hanno catturato l'attenzione (sovente si
affaccia la sua curiosità sulle nuove tecnologie, e l'occhio arguto si
affretta, ma con garbo, anche a visualizzarne effetti sul futuro della nostra
vita) o ricorrenze particolari.
La parola, spesso, ha un connotato
geografico. Ma non si tratta di una geografia reale (o più precisamente, non sempre), bensì di una geografia fantasma, che a volte esiste
solo nella testa di chi scrive.
Probabilmente, è solo una geografia
di luoghi e ricordi, a volte mondi inventati (Agropinto, Caldbanae, Palmira?), ma sempre con uno spirito che
rimanda ai sogni dei bambini, quelli che si estraniano di colpo per partire
sulle ali della fantasia (magari sulla "...poltrona volante di stoffa color nocciola...") e inventano
storie, le vivono, ne soffrono e gioiscono, in preda a un entusiasmo che il
divenire adulti, per fortuna, non sempre uccide.
Vorrei dire a Giuseppe Lupo che è
vero, quanto egli sostiene (questa è
un'epoca che ha ucciso la fantasia), ma è vero per fortuna un po' più della
metà, e non oltre.
È vero che oggi, per esempio, gli "...Occhiali di Google non vedono le nuvole...".
Ma è anche vero che ampliano le visioni, pur senza essere il motore vero della
fantasia, della voglia di immaginare.
Per quello, c'è bisogno di tutto il
nostro acume, di tutta la nostra sensibilità (quella, forse, non si potrà
uccidere; magari occorre solo stuzzicarla, di tanto in tanto, per sentirla viva).
Infatti, come lui saprà, qualche
cavallo libero ancora c'è, in giro. Di quelli che nitriscono su note proprie,
indipendenti, capaci di scavalcare i recinti e correre all'impazzata, a
perdifiato, spostandosi di qua e di là sulla spinta dell'estro, del gusto e,
appunto, della fantasia.
Ed è bello conoscerne, di elementi
simili. Non voglio scrivere di ogni breve capitolo che compone il testo, perché
toglierei qualcosa e non aggiungerei migliorie.
Rivedo in certi passaggi quella
meraviglia di scoperta che contraddistinse il Marco Polo nazionale, senza il quale avremmo atteso secoli per
godere di certa conoscenza ("... e'
non fu mai uomo né cristiano né saracino né tartero né pagano, che mai cercasse
tanto nel mondo...", citando le ultime frasi de Il Milione).
Mi basta esternare la mia
impressione: quella di un uomo (prima dell'Autore)
che crede in ciò che scrive anche quando, magari, è invenzione pura.
E questa è la grande dote che aiuta
a creare mondi immaginari, perché la
parola scritta, usata per edificare (case o grattacieli, si vedrà), deve
servire sì per elevare la cultura, il linguaggio, ma anche per un'altra
esigenza dell'uomo, quello a cui nessuno dovrebbe mai rinunciare: il sogno.
E sognare, oggi, è ancora possibile.
Basta volerlo.
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