DESCRITTI:
IL FASCINO DI UNA STORIA DI CARTA
LA CARTA DELLA REGINA
di Giorgio
Caponetti
Titolo: La Carta
della Regina
Autore:Giorgio Caponetti
Pagine: 336
Editore: Marcos Y
Marcos
La carta affascina, narra, intriga,
testimonia.
Le carte antiche recano
testimonianze che aprono scenari, rispondono a decennali domande.
Pertanto, valgono. E valendo, c’è chi farebbe carte false (e spenderebbe soldoni) pur di possederle.
La carta della regina è un documento
reale, legato alla storia della bisnonna di Federico II di Svevia,
tale Adelasia
Incisa del Vasto (anche detta Azelais o Adelaide).
Vissuta tra la fine del XI secolo e
l’inizio del XII, la sua notorietà è legata al documento cartaceo più antico
del mondo occidentale. E su tale documento verte parte del romanzo, anche se
sarebbe riduttivo limitarsi a questo.
La ricerca documenta le idee
dell’autore, tal Giorgio Caponnetti ex pubblicitario e allevatore di cavalli,
narratore col vento in poppa. La sua è vera vena narrativa, non semplice
esercizio.
Alvise Pàvari dal Canal, docente di Ippologia alla Ca’
Foscari, personaggio a tutto tondo creato dalla penna del suddetto Caponnetti,
è il protagonista di quest’avventura tra i profumi e le leggende della Sicilia
(le cronologie mi dicono si tratti della terza. Confesso che è la prima, per
me. Colmeremo col tempo anche questa lacuna).
Alvise, veneziano doc, si
trasferisce in terra di Trinacria per
partecipare al matrimonio dell’amata nipote Anna Rosai con il nobile Rosario
Marescalchi di Brancaforte.
La famiglia di Rosario, nobile
decaduta e indebitata fino al collo, si trova a dover affrontare guai a
ripetizione che mettono fuori causa il patriarca Ruggiero (per sempre) e
il nipote Manfredi (immobilizzato su una sedia a rotelle a causa di una
caduta).
Sulla tenuta di Brancaforte si allungano
le mani della mafia, che rileverebbe (tramite presta nome) l’intera proprietà.
L’unico modo per scongiurare la vendita
all’incanto, sarebbe reperire una somma pari a un milione di euro.
Sarà Alvise a procurarla, grazie alle
conoscenze e alle sue garanzie.
Qui mi fermerei perché detesto
anticipare le trame.
Il fascino discreto dell’elegante Adelaide
Marescalchi detta Dedè (zia di Rosario) farà da spalla
all’acume e allo spirito vivace ed essenzialmente colto dell’ippologo.
Il risultato sarà un intrigante
viaggio nella cultura della carta e della storia siciliana, un ponte sospeso
tra passato e presente, con frequenti diramazioni e divagazioni.
La proprietà di tecnica e
informazione impreziosisce il testo, anche se l’intento appare quello di
viaggiare con leggerezza, tra battute non scontate e acute riflessioni.
Alvise è un personaggio che delinea
ben presto le proprie peculiarità: è curioso, colto, osservatore, ma anche
premuroso e devoto amico.
Il romanzo parte lento, ma è solo un
carburare costante, come di chi la penna sa usarla e sa cosa vuole ottenere.
L’effetto è quello dilatato dei
romanzi leggeri ma saporosi di cultura, di aromi e di vita.
La conoscenza si evince nelle
descrizioni del mondo equestre, nelle documentate scene di falconeria e
nell’intrigante mondo dell’antica arte di fabbricare la carta.
La simpatia dei personaggi, poi, la
fa spesso da padrona.
Caponnetti ne stila un elenco come nella
migliore tradizione giallistica, anche se di giallo non si tratta.
Come dimenticare, oltre allo stesso
Alvise e la spalla Dedé, l’illogico senescente zio Ruggero, il
falconiere Celòt e lo strozziere Medardo, il simpatico Toni
(factotum di Ca’ Pàvari) che sembra godere nel contraddire il buon Alvise, il
canaro Turi, misterioso e saggio, lo sbrindellato Aristotele Sennacheribbe,
particolarissimo erudito che si diverte a maltrattare il povero Alvise nella
terza parte del romanzo (uno dei personaggi che più mi ha colpito)? E
l’antenata Adelasia, personaggio presentatoci attraverso memorie e voci
degli altri, ma più presente di uno in carne e ossa?
Il sapore del mistero, del fascino
arcano della donna, la curiosità, saltano fuori in molte pagine, aggredendo
l’occhio del lettore e carpendone l’attenzione, con fiumi di loquacità mai
stucchevole e sentieri da scoprire alla ricerca del finale.
La leggerezza è il carattere
prevalente dell’Autore (ometto il sembra
essere in luogo di è, perché ne
sono certo), quasi con certa perfidia egli distilla azioni e apre visuali,
svelando a poco a poco con ritmo tale da farti assorbire la narrazione,
affinché tu non la senta mai stancante.
E così Caponnetti fa centro.
La curiosità gioca un bel ruolo, senza
esaurirsi. Sfocia magari in altri interrogativi, e lasci l’ultima pagina con la
sensazione di aver letto un libro piacevole, magari non indimenticabile ma di
certo gustoso come il latte di mandorle, come il profumo delle zagare e i succosi
frutti.
La voglia di leggerne un’altra c’è, ma
quella la soddisferemo alla prossima avventura.
N’est pas, Alvise?
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