mercoledì 28 maggio 2014


DESCRITTI: UN ROMANZO DI DENUNCIA POLITICA E SOCIALE, DOTATO DEL NECESSARIO HUMOUR PER FISSARE AL MEGLIO LE IDEE

 




 

LA BASE ATOMICA

di Halldór Laxness

Titolo: La Base atomica

Autore: Halldór Laxness

Pagine: 272

Editore: Iperborea

 

La base atomica è uno di quei libri che sfuggono a ogni etichetta.

Halldór Laxness, premio Nobel nel 1955, lo scrisse nel 1947, anticipando la realtà con occhio e acume quasi profetici.

Il romanzo fu censurato all’epoca della guerra fredda per via di una frettolosa analisi politica figlia di quei tempi, ma viene riscoperto in Italia grazie ai tipi di Iperborea.

Nel testo la prima cosa a sorprendere è l’attualità e la freschezza del linguaggio, per tacere dei molteplici livelli di lettura possibili.

Quando inizi a parlarne, cominci a pensarlo come un romanzo di denuncia sociale, poiché si parla di un popolo al margine tra le inconsuetudini legate all’arrembante modernità e la forza del legame col passato.

L’emancipazione fisica, morale, biologica, culturale della donna, è brillantemente affrontata incentrandola nella figura splendida e straordinariamente fragile e umana di Ugla, la protagonista.

La semplicità della donna che viene dal nord, da quelle zone dell’isola in cui il tempo sembra essersi fermato, stride con l’accozzaglia di abitudini moderne e finzioni tragicomiche che affliggono gli abitanti di Rejkjavik, almeno nelle persone con cui Ugla viene in contatto.

Ugla, fascinosa donna di formazione e provenienza contadina, non può che risentire del forte impatto con la vita di casa del deputato Arlánd, dove soggiornerà per un breve periodo svolgendo mansioni da cameriera. In tale contesto, non riesce a sfuggire all’acidità mai velata della moglie di Arlánd, ai (tanti) vizi e le (poche) virtù dei figli del deputato, nonché il fitto sottobosco di figli di papà, politici ondivaghi e profittatori che frequentano la famiglia.

Sua è la voce narrante, una voce intrisa di vivo umorismo quando narra certi passaggi, ma anche tesa in una malinconia senza tetto quando parla di sé stessa, dei rapporti con la società che è sul bilico della definitiva trasformazione, senza però essere assolutamente pronta.

Ugla conoscerà personaggi strani, surreali come l’organista, il quale infiorirà ogni suo intervento con una filosofia di vita pregna di poesia e di saggezza, unica in un contesto in cui spesso i protagonisti sembrano perdere l’identità e andare a spasso per strade che possono allontanarli per sempre dal vero significato dell’esistenza. Tra questi emergono anche altri, come il dio Brillantina, il poeta atomico e la prostituta Cleopatra, così tratteggiati da sembrare un assurdo riempimento ma godibilissimi nell’insieme.

Giuliano D’Amico, nella postfazione al romanzo, ne sottolinea l’aspetto surreale scrivendo: “… L’essenza dell’organista e della sua «comune» è quasi onirica (siamo sicuri che non sia solo un sogno? Del resto Ugla è l’unica a vederli e frequentarli…)”.

Il romanzo è leggibile anche sotto altri punti di analisi, come una sorta di gioco di scatole cinesi.

La denuncia sociale lascia lo spazio ai richiami del passato, a cenni della tradizione isolana e al consolidamento di un’unità fondata sulla difesa della propria storia (la questione delle ossa del Prediletto, il poeta Hallgrìmmsson sepolto in terra straniera e dell’argilla danese), anche per difendere la propria terra e soprattutto il popolo dalla totale perdita d’identità.

La questione dell’accordo con gli Stati Uniti (davvero siglato nel 1946 come accordo di Keflavík) che avrebbe consentito agli americani di controllare la Germania all’indomani della Seconda Guerra Mondiale, rimbalza più volte nel romanzo, a volte sotto forma di terrore per l’avvento dell’atomica a volte tirando in gioco le proteste (condivise in vita dallo stesso Autore) contro la “Vendita dell’Islanda”.

Il romanzo assume anche i contorni di una stuzzicante poesia, di un’espressione di dignità che non stupisce provenga propria da parte di Ugla, messa di fronte a una gravidanza inattesa e forte di quei valori che solo la sua personalità semplice e genuina poteva conservare, nonostante tutto.

Ed è lei, in conclusione, ad attingere alle parole dell’organista; la sintesi del discorso dell’Autore la trovi anche nel concetto dell’Islanda che continuerà a esistere, anche dopo che sarà scoppiata la bomba atomica, perché quando quest’ultima “…avrà raso al suolo le città che sono rimaste indietro rispetto all’evoluzione, sorgerà la cultura delle campagne, la terra diventerà il giardino che non è mai stata  se non nei sogni e nelle poesie…”.

E allora perché non credere che, nonostante tutto, il nostro futuro sia nelle cose semplici che già ci attorniano, che abbiamo imparato a conoscere fin da piccoli, quando eravamo ingenuamente liberi di scoprire, e quando abbiamo ammirato la struggente bellezza e l’incomparabile perfezione di un fiore, simbolo di una rinascita sempre possibile?

venerdì 16 maggio 2014


DE-SCRITTI: DUE IN UNO. UNA PATRIA, DUE AZIONI, UNA VITA O UNA DOPPIA VITA?

                                                                                           


DUE IN UNO

di Sayed Kashua

Titolo: Due in uno

Autore: Sayed Kashua

Pagine: 352

Editore: Neri Pozza

 

Cominciamo con una frase.

«Ti ho aspettato e non sei venuto. Spero che vada tutto bene. Volevo ringraziarti per la notte scorsa, è stata meravigliosa. Mi chiami domani?».

 Cosa fareste voi, se trovaste un foglietto con sopra scritta una frase del genere, per di più con la grafia di vostra moglie?

Questa frase è l’espediente narrativo su cui ruota una mia piacevole scoperta bibliografica: il romanzo Due in Uno di Sayed Kashua, edito da Neri Pozza nella collana Bloom.

Meglio però precisare una cosa: dietro non c’è solo una storia di gelosia, ma un’architettura dell’intreccio e del intrigo direi eccellente, sorprendente, curiosa, avvolgente.

La trama del romanzo si dipana lungo due binari; le due parti della storia sono scandite da un punto di vista narrativo diametralmente opposto.

Interessante anche la scelta del titolo di ogni paragrafo: sostantivi, verbi, località, oggetti, spezzoni di frasi.

Tutti si ritrovano nel testo del paragrafo cui si riferiscono, messi lì quasi fossero un pro memoria, ma che secondo me hanno un significato nascosto che sarebbe bello indagare.

Di cosa parla, allora, Due in uno?

Da una parte, c’è la figura di un avvocato arabo in carriera, residente a Beit Safafa (il quartiere più ricco di Gerusalemme) il quale conduce una vita agiata, da protagonista, con una famiglia felice. Il suo unico cruccio è una scarsa cultura, e per ovviare a questa pecca e non sentirsi inferiore alle proprie frequentazioni sociali, egli acquista periodicamente libri consigliati da Ha’aretz, rivista di settore.

Tra questi suoi acquisti, un giorno gli capita tra le mani una copia gualcita de La Sonata a Kreutzer di Tolstoj. Sua moglie, un giorno, glielo aveva nominato, senza poi tornarci più sopra.

All’interno del libro, un sera, l’avvocato trova un biglietto con la frase che avete letto all’inizio di questa recensione.

Quella frase rappresenta la svolta del romanzo.

Con quella frase inizia ad aprirsi una voragine sotto il pavimento di certezze che l’uomo pensava di aver costruito.

Insicurezza, dubbi, titubanze, un’improvvisa cattiveria si fanno strada nell’animo dell’avvocato.

Inoltre, il risveglio dell’orgoglio arabo ferito, la gelosia che lo attanaglia, tutto concorre nel modificare il suo comportamento, mutando il sospetto in fissazione. Seguire la moglie per le strade di Gerusalemme, controllandone spostamenti e verificando ogni suo passo diventa la conseguenza più ovvia di tale stato d’animo.

Dall’altra parte, la storia viene narrata in prima persona da un altro arabo, Amir, il co-protagonista del romanzo. Giovane assistente sociale, Amir vede la propria vita mutare in seguito all’assistenza a un giovane israeliano (Yonatan) in stato vegetativo, trovando suo malgrado la strada per il proprio ingresso nel mondo, seppur contraddittorio, in cui vivono due realtà diverse come quella araba e quella ebraica.

La contrapposizione esiste, a livello culturale, economico, umano, questo è indubbio. E allora chi meglio di uno che la vive, che la conosce per presa diretta, poteva descrivere il dedalo di intrecci e la straripante fonte di confronto che emerge dalla coabitazione forzata in quei territori?

Tornando alla storia in sé, alla trama, ho già detto che essa viene condotta lungo due binari separati con stile, con tono incalzante.

Pagina dopo pagina, il lettore si chiede continuamente non solo come andrà a finire, ma il perché dei singoli passaggi, apparentemente scollegati ma agganciati in un modo lucido fino alla parte finale.

Infatti i binari, contrariamente al parallelismo infinito, in questo caso a un certo punto s’incontrano, e quando ciò accade portano a nuove scosse e modifiche nelle vite dei protagonisti.

Come ciò accada e quale sia il punto in comune delle due parti della storia non ho alcuna intenzione di rivelarlo.

Sarà bello scoprire da voi, leggendo le pagine di questo interessante testo acclamato dalla critica e dal pubblico in Israele, tutto quanto io non vi abbia rivelato (ed è il più, è chiaro).

Così avrete anche il piacere di assaporare il sorprendente finale.

Concludo con una frase, questa volta di mio pugno:

«Leggere le culture altrui è il modo migliore per ampliare la propria; leggere le parole altrui è il modo migliore per capire le persone. Se siete d’accordo con me, non fatevi sfuggire questo libro.

F.to Enzo D’Andrea».

 

giovedì 24 aprile 2014


DE-SCRITTI: LA STRUGGENTE BELLEZZA DELLA NATURA, COME IN UN DIPINTO A TINTE DI FUOCO NEL GHIACCIO DESERTO DELL’ARTICO. UNA STORIA MEMORABILE

 


 

IL COLLEZIONISTA DELLE ULTIME COSE

di JEREMY PAGE

 

Titolo: Il collezionista delle ultime cose

Autore: Jeremy Page

Pagine: 367

Editore: Neri Pozza

 

Quando non avremo altri orizzonti davanti a noi, ci troveremo davanti al limite. Quella sottile linea ci separerà dall’abisso o dal sogno, e il passaggio non sarà indolore.

Non si tratta solo di un passaggio materiale attraverso limiti geografici concreti, ma anche di un’introspezione profonda e dolorosa per capire fin dove si può spingere l’animo umano, lanciato in un viaggio che solo per alcuni si concluderà con un ritorno.

1845, porto di Liverpool. Eliot Saxby, un naturalista che colleziona uova e altri reperti naturalistici e altre piccole cose rare o quasi introvabili, viene pagato da influenti amici per imbarcarsi su un vecchio brigantino a tre alberi, l’Amethyst.

Lo scopo del viaggio è la ricerca di reperti di esemplari di alca impenne, un uccello dato per estinto e le cui ultime tracce si perdono nella foschia che avvolge un’isola disabitata al largo dell’Islanda.

La destinazione del brigantino è l’Artico, dove il capitano Kelvin Sykes conta di rifornirsi di materiale vario da poter tramutare in moneta sonante, spesso il suo vero cruccio. A bordo, oltre al mite e spaurito Eliot, viaggeranno esemplari di un’umanità strana, sfuggente e piena di interrogativi. E non solo tra i passeggeri, in particolare Edward Bletchley, un giovane imbarcatosi per dare la caccia agli animali artici e la sua compagna di viaggio, una misteriosa ragazza che suscita visioni e riporta a galla vecchi ricordi e angoscianti pensieri nella mente di Eliot, che si scoprirà mai del tutto serena.

Infatti, anche tra l'equipaggio ci sono tante di quelle tare e di quelle miserie dell'animo da far sì che ognuno di essi abbia il proprio armadio colmo di scheletri. Come scrive lo stesso Autore: "Mi resi conto di essermi imbarcato in un viaggio pieno di misteri, alcuni alla mia portata, altri oscuri e impenetrabili come l'Oceano oltre il parapetto".
 
Sullo sfondo, la tragedia degli animali dell’Artico, foche, trichechi, orsi,  uccelli, balene, trucidati per ricavarne barili d’olio, grasso e penne, per rinverdire un commercio attivo in quei tempi, quando i mari artici non venivano più visti come mete di conquista scientifica ma come luoghi di saccheggio, al di là di ogni ragionevole limite imposto dalla natura e dal buonsenso.

Ed è proprio la Natura con la “enne” maiuscola la vera protagonista della bella storia che Page, dotato scrittore già sceneggiatore e editor per la BBC e per Channel4, narra con maestria encomiabile.

I potenti tratteggi e la lirica sicura e calibrata, uniti alla densa rappresentazione dell’atmosfera del tempo, trascinano il lettore a bordo del malandato brigantino, facendogli provare gli scricchiolii del tavolato del ponte, assaporare la brezza del freddo nord, le foschie e l’ondeggiare selvaggio quando si scatena la tempesta e solo Dio si interpone tra la tragedia e un altro giorno in questo malandato mondo.

Una prova di gran maestria da parte di uno scrittore che ha riportato l’atmosfera e il sapore di altri tempi, mescolando una trama di passioni, desideri, vigliaccherie e aspirazioni, angosce e stupidità umana. Il ritratto dell’umanità che emerge è impietoso, poiché la brama e il desiderio oscurano la ragione isolando ogni individuo e rendendolo simile solo a sé stesso.

Page ha saputo trovare l’intonazione e lo stile dei grandi scrittori dell’Ottocento, creando un vigoroso intreccio psicologico e materializzando paure e sentimenti con gran sagacia.

 Il suo scopo è stato, a mio modesto avviso, pienamente raggiunto. E scusate se è poco.

 

giovedì 6 marzo 2014


DE...SCRITTI: UN VENTO CHE SI PORTA VIA GENTE E RICORDI, LASCIANDO DENTRO FORTE IL SAPORE E LA CRUDEZZA DEI CONFINI DEL MONDO

 

 

ULTIME NOTIZIE DAL SUD

di Luis Sepulveda, con foto di Daniel Mordzinski

 

Titolo: Ultime Notizie dal Sud

Autore: Luis Sepulveda

Pagine: 168

Editore: Ugo Guanda

 
Chissà perché, quando penso alla Patagonia, alla Terra del Fuoco, vedo e sento davanti a me qualcosa di più di semplici sterminate distese di terreno, a un passo dal cielo, un orizzonte lontano in cui il chiarore delle rade nuvole e il brunito del suolo sono così vicini da sembrare dei gemelli siamesi?

Forse la colpa è mia, della mia inguaribile vena romantica quando sento parlare di luoghi lontani? Oppure io non c’entro nulla e il mio è solo uno stato emotivo indotto dall’abilità fascinosa di certo modo di raccontare le cose? La cosa più probabile è che la risposta sia lì, giusto nel mezzo, e che io ogni volta riesca a finirci giusto dentro.

Il grande potere evocativo di siffatti luoghi emerge vivo e potente ogni volta che a parlarmene è Luis Sepulveda. Leggo ciò che scrive il cileno e mi ritrovo dentro ogni metro di terra percorso, ogni folata di vento, ogni filo d’erba selvaggiamente scosso dalla furia degli elementi.
Come dice lo scrittore in un breve passaggio:

Le nuvole erano così basse che si potevano toccare. Scendendo una collina ci entrammo dentro, l’automobile fu circondata da una fitta cortina di nebbia, perdemmo l’orientamento e il caso ci fece lasciare la strada che collega El Bolsom a El Maitén e prendere un sentiero. In Patagonia sostengono che fare dietrofront e tornare indietro porti sfortuna, perciò ligi alle usanze del luogo andammo avanti, perché il nostro destino è sempre avanti e alle spalle dobbiamo avere solo la chitarra e i ricordi.”

Ultime Notizie dal Sud è un testo sulla decadenza di un mondo che già oggi non è più come venne descritto, quando a intraprendere il viaggio da cui tutto nacque furono due amici, Luis Sepulveda e il fotografo Daniel Mordzinski, autore delle splendide immagini che corredano il racconto.
Nel 1996, a Parigi, i due pianificarono un viaggio alla (ri) scoperta di uno dei confini del mondo, una terra di cui già altrove il buon Luis ha cantato il proprio perduto innamoramento.
Armati di zaini, Moleskine e Leica, i due si sono messi alla ricerca (volontaria e non) di storie, gente e dettagli da cui trasparisse l’essenza di quel mondo. Un mondo fatto di solitudine, magia, ebbrezza, vento, leggenda.

L’ideale per un viaggio. Ciò che chiunque lasci temporaneamente la propria casa vorrebbe vedere (forse). Questo viaggio ha portato i due a vivere la crudezza di una terra e assaporare scampoli della vita e dei ricordi dei pochi sopravvissuti di epoche passate.

I personaggi descritti, se si vuole anche con il giusto tocco romanzato che non guasta mai, sono notevoli, bislacchi, particolari ma tutti inequivocabilmente magici.
I racconti si succedono facendoti venir la voglia di incontrare quella gente, per poi realizzare quanto ciò non sia più possibile.

Un liutaio (Tano) che si sposta nelle giornate ventose alla ricerca del legno più adatto per il proprio violino, una vecchietta che vive sola da anni ed ha il dono di rendere fertile e vivo tutto ciò che tocca, un ubriaco che sostiene di essere un discendente di Davy Crockett, l’ultimo viaggio su un treno che appartiene solo ai ricordi della gente e la storia di Coquito, un bizzarro folletto sempre alla ricerca di un cicchetto. Non possono mancare i leggendari gauchos o le tracce di Butch Cassidy e Sundance Kid, ma tutto il libro è un susseguirsi di magica composizione e immagini nitide e allo stesso tempo sfumate nel tempo.

Sepulveda, che parli di gatti e gabbianelle o rivolga lo sguardo nostalgico verso il Sudamerica, è bravo. Ma bravo davvero (cosa scontata da dire ma mi piace ribadirlo).

La conferma è stata la sua abilità nel prendere i miei occhi e i miei sensi e portarli in viaggio, in quelle terre lontane che non ho mai visitato, se non nei panni di Sepulveda (e di un certo Chatwin, in precedenza).

E, concludendo, cito un altro passaggio del libro, l’essenza dello stesso:

Nulla di quanto abbiamo visto è ancora come lo avevamo conosciuto. In qualche modo siamo i fortunati che hanno assistito alla fine di un’epoca nel Sud del Mondo. Di quel Sud che è la mia forza e la mia memoria. Di quel Sud a cui mi aggrappo con tutto il mio amore e tutta la mia rabbia. Ecco perché queste sono Le ultime notizie dal Sud.”

giovedì 19 dicembre 2013


DE...SCRITTI:



UN FILM WESTERN DA LEGGERE COME UN LIBRO, MOLTO PRIMA CHE NE FACCIANO UN FILM…

 
ARRIVANO I SISTER

di PATRICK DEWITT

Titolo: Arrivano i Sister

Autore: Patrick Dewitt

Pagine: 304

Editore: Neri Pozza

 

Arrivano i Sister… Appena lessi questo titolo, per assonanza mi ricordai di un vecchio telefilm ambientato nell’America dell’800. Arrivano le spose, mi pare s’intitolasse.

Certo, basta iniziare a leggere e subito il debole accostamento va via come una granello di polvere in un giorno di vento …

La storia è ambientata nel Far West, nella California di metà ‘800.

Charlie ed Eli Sister sono due fratelli che si guadagnano da vivere ammazzando la gente su commissione. Due killer spietati ma anche profondamente diversi tra loro. Charlie è freddo, apparentemente insensibile nell’eseguire gli incarichi. Eli, al contrario, pensa e a volte pure troppo. Uccidere non lo entusiasma, ed è solo il vedere il fratello in pericolo a trasformarlo in un sicario affidabile.

I due ricevono dal Commodore, un potente della zona, l’incarico di braccare e far fuori un certo Hermann Kermit Warm, cercatore d’oro che avrebbe derubato il ricco signore. In realtà, come si scoprirà in seguito, la loro missione avrebbe ben altro scopo.

Eli è la voce narrante. Un personaggio introspettivo e particolare, ma tanto vero quanto surreale, con il suo corollario di timori, dubbi e certezze, sempre sull’orlo del distacco dal credo e dalle convinzioni del fratello maggiore Charlie. La storia acquisisce l’inflessione della sua voce e non la smarrisce più fino al termine.

Finalista al Booker Prize 2011, il romanzo sui due fratelli ruota intorno a loro e all’oro. Certo, perché di mezzo c’è anche la corsa al pregiato metallo.

La micidiale febbre per la ricchezza, vera protagonista della parte finale del romanzo, mostrerà  ancora una volta come sia sottile il confine tra il sogno e la misera caduta all’inferno. Il tutto è condito con una mirabolante sequenza di disavventure, incocciando in dentisti imbroglioni, orsi dal pelo fulvo, indiani feroci, boss attorniati da tirapiedi da barzelletta, una megera e una tenutaria di un saloon, malata di tisi, di cui Eli s’innamora invano. Un assortimento di personaggi a volte surreali, eppure così autentici in quel polveroso, vecchio e bastardo West di una volta.

A tratti pare di rivedere scene di qualche film del grande Sergio Leone, con un pizzico di pazzia in più. Anche l’umorismo, a volte latente nelle situazioni ma spesso così forte e immediato che non occorre neppure sforzarsi tanto per gustarlo, viene dosato quasi alla perfezione per stemperare (secondo me riuscendoci appieno) la drammaticità delle scene più violente. Un esempio su tutti?

Leggete un po’ questo breve passaggio:

‹‹Cos’è stato quel rumore?›› ha chiesto.

‹‹Un proiettile che ti ha centrato in pieno››.

‹‹Un proiettile che mi ha centrato dove?››.

‹‹In testa››.

‹‹Non lo sento. E non sento quasi niente. Dove sono gli altri?››.

‹‹Sdraiati accanto a te. Anche loro con un proiettile in testa››.

‹‹Davvero? E parlano ancora? Non li sento››.

‹‹No, sono morti››.

‹‹Ma io non sono morto?››

‹‹No, tu no››.

Come in ogni storia del genere, anche le sparatorie, la violenza e il crudo realismo non mancano. Inoltre il testo è disseminato di momenti più introspettivi e malinconici.

Mescolando il tutto, salta fuori Arrivano i Sister.

Certa critica, negli States, ha paragonato Dewitt a un McCarthy umoristico, dopo averlo accostato a Fante e Bukowski per il precedente romanzo Abluzioni.

Non so quale dei paragoni possa reggere davvero. Intanto io ci vedo anche un po’ di Paul Auster, ma non lo dite a nessuno… Fatto sta che il romanzo funziona davvero, i personaggi sono credibili, ben costruiti e grondanti del realismo cui ci ha abituato certo cinema del passato, e già questo basta.

A me, di certo.

E credo sia più che sufficiente per incuriosire anche tanti altri, perché non è affatto facile, di questi tempi, scrivere una storia delle vecchie terre di frontiera e conservare la freschezza e la solidità, nonché il fascino che avevano storie del genere tanti anni fa.    

 

 

 

mercoledì 2 ottobre 2013

Con somma soddisfazione e pieno orgoglio, riporto un resoconto della presentazione del mio romanzo "Le Formiche di Piombo" alla Biblioteca Nazionale di Potenza, lunedì 30 settembre alle 19.

Potenza – Presentazione de “Le formiche di piombo”, di Enzo D’Andrea
 
Le formiche di piombo
È stato presentato ieri, presso la Biblioteca Nazionale di Potenza, “Le formiche di piombo“, di Enzo D’andrea. Si tratta del primo romanzo dello scrittore, lucano classe 1972, che dopo una raccolta di poesie (“Oceano di sabbia”) e la pubblicazione di una serie di racconti (“Quel giorno, quando venne sera”, è approdato alla stesura di questo romanzo.
Nel suo libro D’Andrea ci riporta indietro nel tempo, in un periodo storico al quale per svariate ragioni è lui stesso legato e che, per le vicende storiche che lo hanno caratterizzato, lascia ancora una traccia indelebile ai giorni nostri. Siamo infatti negli anni ’70, in una Torino spaccata a metà tra il boom della Fiat e le rivolte operaie e che, come il resto d’Italia, si trova a fare da sfondo a quelle lotte spesso sfociate nel sangue e marchiate dall’azione delle Brigate Rosse.
Fatti di cronaca realmente accaduti si mescolano così alla fantasia dell’autore e il risultato è un romanzo che sembra essere vincente e soprattutto convincente. Nello sfogliare le prime pagine ci si rende subito conto delle capacità narrative di Enzo D’Andrea, che riesce a carpire l’attenzione di chi legge con uno scritto dove la suspense e la voglia di sapere “come andrà a finire” la faranno da padrone.
Lo stesso Franco Sabia, Direttore della Biblioteca Nazionale di Potenza, ha voluto porre l’accento, durante la presentazione, sulle abilità di D’Andrea e sulla volontà di voler presentare questo testo in quanto si sente forte la voglia di aprire le porte dei luoghi culturali non solo ai grandi editori ma anche a chi, lontano dal mercato della grande distribuzione, dimostra notevoli capacità e il desiderio di esprimersi attraverso le proprie opere.
Maria de Carlo, giornalista, si è poi addentrata nel romanzo parlando dei temi fondamentali che questo mette in risalto: l’amore, gli atti di terrorismo e violenza, ma soprattutto l’amicizia vera, quella tra i protagonisti Diego e Michele, che nonostante il contesto storico difficile e pericoloso dimostra maggiormente la propria forza.
Ecco allora le “formiche di piombo”, quelle che invece di seguire il sentiero canonico e conosciuto preferiscono deviare, abbracciare la singolarità di una vita combattiva e anticonformista e tracciare da sé, pur con difficoltà, la propria strada.
Le letture, che hanno accompagnato la presentazione, sono state affidate alla voce di Mara Sabia. Qui di seguito è possibile ascoltarne un estratto.
File Audio - Le formiche di piombo
File Audio – Le formiche di piombo

 
Luca Durante
 

Articolo inserito da:

Luca Durante è giornalista ed esperto di marketing online. Pacato e riflessivo, perde la sua compostezza solo ai concerti dei Bauhaus e a contatto con l'acqua fredda (un po' come i Gremlins dopo la mezzanotte). I primi romanzi che ha letto sono stati quelli di Fante e Bukowski, di cui attende ancora (invano) nuovi lavori, e nutre un amore cieco e smisurato (e parimenti invano) per la Santacroce. Come pianista (e che pianista!) si sente artista nell'anima. Cosa fa su MeLoLeggo? Legge, recensisce, critica ma, soprattutto, diffonde: sa come focalizzare l'attenzione con le sue semisegrete tecniche di marketing, conosce Facebook meglio di Zuckenberg e GooglePlus meglio di Google.

martedì 25 giugno 2013

RECENSIONE - ODORE DI BIMBO, LA STORIA DI CHIARA

GIOVANNA ALBI
ODORE DI BIMBO - LA STORIA DI CHIARA
Odissea moderna di una donna alla ricerca del proprio significato
Dal blog dell'autrice: "Personaggio certamente complesso e dotato di notevole capacità di autoanalisi. Attraverso riferimenti filosofici, storici e a personaggi della letteratura e della mitologia classica, Chiara ripercorre la vita dall'infanzia alla maturità e descrive il tuo rapporto con l'uomo che ama, un uomo che profuma di bimbo, di borotalco e di plasmon. Il personaggio è sospeso tra reale immaginario, perché Chiara ha una fervida fantasia e racconta la sua storia d'amore proiettandosi in mondi imaginari, inseguendo figure mitiche: Achille, Ettore, L'isola dei Feaci, la fucina di Vulcano. Riflette su personaggi della letteratura, fa caricature di figure umane, affronta il problema del decadimento della scuola, ma su tutto trionfa l'amore, come farmaco, l'amore verso il suo uomo, suo figlio e la vita.con intermezzi musicali (ottima la citazione di brani significativi e degli artisti inseriti, molto congeniali e adatti alla storia). "


Odore di bimbo – La storia di Chiara (Robin Edizioni) è volutamente un testo che proseguirà la propria evoluzione (perché di questo si tratta) nel futuro.

L’autrice, in questo, è stata quasi categorica nel proprio intento, come si evince nella conclusione del testo: “La storia di Chiara è un romanzo di formazione: educa ad aspettare, a guardarsi dentro, a riflettere, a non svendere il proprio patrimonio emotivo. Per questo, il lettore deve portare pazienza. Insomma Chiara, mi dispiace lasciarti, tu sei quella che non sono,ma che avrei potuto essere. Dai non piangiamo: esci dalla mia fantasia! Un giorno, tra breve, ci ritroveremo, in un libro, sai, in questa, esattamente in questa, vita.

Giovanna Albi tratteggia con sapienza il difficile percorso della protagonista, Chiara, brava avvocatessa e donna forte, ma messa in difficoltà dalla psicoanalisi, e ora con un piede nel reale e uno nei castelli della sua fantasia. Una donna che prova il disagio del vivere quotidiano, alla riscoperta degli aspetti più importanti della propria giovane vita, virtualmente nascosti dietro frammenti di ricordo, piccoli dettagli all’apparenza insignificanti, ma in realtà emozionanti e importanti per la riuscita del cammino. Emerge così il suo rapporto con Federico, l’uomo che profuma di bimbo, di borotalco e di plasmon. Emerge anche il suo amore verso il proprio uomo, verso il bambino, verso Achillea, il suo cane. E’ proprio l’amore che l’aiuta a superare i muri della difficoltà, anche se pur vivendo la propria vita tra lavoro e famiglia, il suo è un continuo sospendersi tra reale e immaginario, più subìto che voluto.

Un viaggio tra presente e passato, un travalicare i confini dello spazio-tempo pieno di citazioni e risvolti filosofico-psicologici. Un linguaggio forbito, a volte apparente, a volte incisivo come pochi, con una definizione di situazioni e personaggi mai leziosa.

Certo non è facile la sua lettura. Di certo si tratta di un libro insolito, non comune, che potrebbe far storcere anche il naso a qualcuno. Se però si va oltre la coltre superficiale di diffidenza, si scoprono vari tasselli che poi sarà uno scherzo mettere ognuno al proprio posto.

L’autrice di questo libro sa di cosa parla. Mastica e rivolta la difficile materia come un guanto, tanto che il tornare all’inizio della questione diventa un gioco da ragazzi. La profondità dell’animo sondata con dovuta maestria, un’analisi del ricordo come evoluzione del proprio essere. Perché è così che si deve fare. Il crescere è legato non solo a un fenomeno nutrizionale, anche e soprattutto all’assimilazione degli insegnamenti della nostra vita. E allora la penna si muove a dipingere dettagliate descrizioni di personaggi che sono nessuno e centomila, e chi legge potrebbe essere in grado di riconoscervisi.

Consigliato a chi si aspetta una lettura profonda, soprattutto a chi è convinto che la psicoanalisi aiuti sempre e comunque a risolvere i propri problemi (questo è uno dei messaggi che mi è parso di cogliere a più riprese).  
Per chi volesse leggere in anteprima e acquistarlo, qui sotto trovate il link:

martedì 28 maggio 2013

E' ARRIVATO, FINALMENTE: LE FORMICHE DI PIOMBO!



 







LE FORMICHE DI PIOMBO

 

 
 
 
Autore: Enzo D'Andrea
Genere: narrativa mainstream, anni di piombo
Anno: 2013
Editore: 0111 Edizioni
Brossura, 144 pagine
ISBN: 9788863075328


Presentazione

Dicembre 1975. Torino, la città della Fiat e del sogno industriale. Una delle città della rivolta operaia, degli scontri in piazza. Michele, giovane ingegnere, si trova suo malgrado catapultato in una vicenda di intrighi, pedinamenti e sparatorie. Diego, un terrorista, metterà a repentaglio la sua sicurezza per aiutarlo, in nome della loro amicizia. Michele dovrà fare dolorose rinunce, fuggire via per poi tornare solo dopo tanto tempo. Troverà una città cambiata, dove si è spenta l’eco dei molti fatti accaduti e dove la vita gli riserverà ancora un’ultima sorpresa. Alla fine non resterà un vero vincitore, solo una grande storia di amicizia che travalica ogni confine. Nessuno è perfetto, gli uomini sono come formiche in fila: le più numerose seguono la direzione comune senza deviare e senza chiedersi cosa è giusto e cosa no; le meno numerose, al contrario, deviano perché hanno bisogno di cercare, capire, combattere. “Le formiche di piombo”, appunto.


Estratti:

da pag. 11
 
“… Solo dopo che lui ebbe riagganciato venni sommerso da mille interrogativi senza risposta, e non trovai di meglio da fare se non andarmene a letto e aspettare l’indomani per avere le risposte (forse). Tanto più che non conoscevo alcun contatto telefonico privato del professore; avevo solo il suo numero di stanza al Politecnico.Trascorsi la notte insonne, a fissare il bianco soffitto. Contemplai il gioco d’ombre, percorrendo poi con lo sguardo le trame ripetute della carta da parati, mentre aumentava la curiosità per quell’appuntamento che mi aspettava. Ciò mi aveva messo in uno stato di forte tensione emotiva.E allora, quella mattina del 4 dicembre io, il dott. ing. Michele Gulli, alle sei e mezza, ero già fuori di casa, al bar sottostante, per fare una rapida colazione con cornetto e cappuccino, in attesa di prendere il primo mezzo pubblico che mi portasse in via Vittorio Alfieri 7."
 





da pag.48
 
“… La stanza era semibuia. La luce del tiepido sole del pomeriggio invernale penetrava attraverso le tende del salotto, tracciando solo una riga chiara sul pavimento della stanza. E nell’aria soprastante quella riga chiara, come microorganismi dispersi in un fluido vitale, tante particelle di pulviscolo fluttuavano libere e impazzite, tracciando caotiche traiettorie che si restringevano e si ampliavano, in un susseguirsi di movimenti dettati dai minimi spostamenti d’aria e dal loro peso infinitesimo, governati da una legge di gravità che appariva più complessa di quanto non raccontassero le semplici formulette dei libri di fisica. L’orologio a parete segnava le quindici, la radio accesa trasmetteva musica leggera. Passi felpati sul pavimento. Piedi scalzi che si muovevano con leggera cadenza, quasi appartenessero a un essere etereo. Un uomo seduto sul divano, trent’anni circa, capelli lunghi e scarmigliati, lo sguardo fisso sull’ingresso della stanza. Una donna, una bella donna, venticinque anni, vestita solo con una camicia bianca e un paio di slip."

da pag.80
 


“… ‹‹Ma tu credi che sia possibile vivere in modo, come dici tu, normale, in questo schifo di situazione?››
‹‹Non lo credo, ma lo devo fare. Che faresti tu, ti mureresti dentro casa, aspettando che vengano uno o due uomini a suonare alla tua porta, fingendosi magari operai del gas o tecnici del comune per spararti in faccia appena apri la porta?››
‹‹E chi lo sa? Non ho mai vissuto questa esperienza.››
‹‹La cosa assurda è che non capisco perché quella gente potrebbe aver necessità di farmi fuori. Non capisco tutto questo accanimento; ci sono momenti in cui cerco di convincermi che tutto ‘sto casino si può risolvere in una bolla di sapone, che Sibarozzi non si fa sentire per altri motivi che ignoro ma che non c’entrano nulla con quanto è successo; che non rischio in effetti un bel niente. Ma poi… Lo vedi? Anche adesso che ne parlo, forse ingigantendo la questione, mi basta pensarci un poco su e subito sento una morsa qui, alla bocca dello stomaco, che mi opprime e non va via. Cazzo… Cazzo… Cazzo…››
Stefania buttò la cicca della sigaretta nel fuoco, lisciandomi la guancia in una tenera carezza..."
 
da pag. 94 
 




"... L’uomo, una volta afferrato il plico, se lo mise sotto un braccio, mentre con l’altra mano estrasse la pistola e me la puntò contro.
Tutto quanto accadde fu questione di un attimo.
‹‹Ehi, amico…›› irruppe nella scena, suo malgrado, l’uomo di prima, il drogato, che si era avvicinato a noi ignaro, quasi senza far rumore.
Fu sufficiente a distrarre per un attimo il killer. Quell’attimo mi salvò la vita. Ne approfittai, lo colpii sull’avambraccio facendogli cadere la pistola per terra. Mi girai di scatto mentre quello cercava di raccogliere l’arma. A un tratto sentii echeggiare uno sparo..."


da pag.134

"... Pentirsi, adesso, diventa un atto superfluo, necessario solo per la propria coscienza, perché credo che, ultimo tra i diseredati, nessuno avrà interesse a cercarmi più. L’anonimato sociale, la vita dura, la miseria, il freddo e la fame sono le mie pene.
Sconterò così le mie colpe, se colpe ci furono. Ma non devo essere io il giudice di me stesso. Ci sarà qualcuno o qualcosa, più grande di noi, per giudicarci? Tu mi risponderesti: c’è Dio. Io ti replicherei: non lo so. Non posso credere in ciò che non vedo, è più forte di me. Ho sempre creduto nella giustizia in mano all’uomo, a patto che l’uomo fosse un giusto. Ma se l’uomo non è giusto, allora non può esistere giustizia..."



Si consiglia la lettura ascoltando The Dark Side of the Moon e Wish you were here dei Pink Floyd.


 




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Alcune recensioni e opinioni sul mio libro:

http://www.recensionilibri.org/2013/08/le-formiche-di-piombo-di-enzo-dandrea.html