martedì 31 luglio 2012

SCRITTI - I MIEI LIBRI: QUEL GIORNO, QUANDO VENNE SERA

Scritti - I miei libri


Ebbene sì, anche io, nonostante sia amante della lettura, ogni tanto mi diletto a prendere sotto penna e carta (non il calamaio) o più spesso il primo pc disponibile. Allora vi riverso tutto ciò che mi passa per la testa. Sul foglio bianco finiscono idee, prima abbozzate poi sempre più delineate, che poi leggo e rileggo, applicando ciò che riesco ad apprendere dalle mie letture e dai veri scrittori. Ogn tanto riesco a far mio qualche buon consiglio. E il gioco è (quasi) fatto. E allora escono fuori anche libri. Perchè non parlarne qui?


QUEL GIORNO, QUANDO VENNE SERA

Autore: Enzo D'Andrea
Genere: racconti
Anno: 2012
Editore: Photocity Edizioni
Brossura, 101 pagine
ISBN: 9788866822615





Presentazione

Un terremoto visto come una punizione divina, una storia di amicizia tra un ragno e un ragazzino disabile, un Natale particolare, dove la tragedia imminente diviene di colpo un segno di speranza, una storia in cui si fanno i conti con il soprannaturale, sia esso dai risvolti tragici o ironici, al limite dell'assurdo. Infine, una storia creata dal nulla, come una sorta di sfida, partendo dalle lettere dell'alfabeto e senza la minima idea di dove si andrà  a finire. Quando si libera la fantasia, tutto può succedere. L'importante è che ci sia una storia da raccontare e, soprattutto, qualcuno che abbia voglia di ascoltarla. Tutto il resto conta poco. Quasi nulla direi. 

Estratti:

Estratto dal racconto: Quel giorno, quando venne sera

“… L’oscurità era ormai calata, l’aria semmai ancor più opprimente, meno male che era infine giunto a casa. Guardò l’orologio a taschino che gli aveva lasciato suo padre. Erano quasi le sette e trentacinque della sera. Stava salendo il primo gradino della scala che portava a casa, poggiando la mano libera sulla vecchia ringhiera di ferro battuto per farsi sostegno nella salita, e in quell’istante la terra tremò. “Marò, je fatta!”  esclamò terrorizzato Zi Pepp. Fu così che quel giorno, quando venne sera, la terra tremò. Era il ventitré novembre del millenovecentoottanta.”

Estratto dal racconto: Il ragno

“… Vagando a caso con lo sguardo per la stanza, tornò un attimo a fissare il ripiano del vetro. Una macchiolina scura era appena visibile. A un occhio allenato come il suo era però impossibile che sfuggisse. Aguzzò lo sguardo. Si, non c’erano dubbi! Era “Lui”! Era proprio “Lui”! Però, c’era qualcosa di strano. Si avvicinò un poco. Era fuori! Ecco cosa c’era di strano. Incredibilmente, era posato sulla facciata esterna del vetro. E ora si stava rapidamente spostando verso l’alto. Sembrava inoltre aver riacquistato anche la completa mobilità dell’arto offeso. O meglio, della zampa offesa. Era bello da vedersi. E libero, soprattutto. Una lacrima solcò il viso di Kevin. Il suo volto delicato di ragazzino imberbe. Ma questa volta era gioia. Gioia vera.”

Estratto dal racconto: Un Natale particolare 

“… Allora, preso da un impulso improvviso, si sporse di nuovo dal parapetto. Scrutò a fondo la superficie dell’acqua, ma niente. Non c’era assolutamente nulla. L’immagine era scomparsa. Ancora intontito da quella sensazione, si sentì urtare leggermente le gambe. Girandosi di scatto, si trovò di fronte il cane, che lo fissava dritto negli occhi. In lui non c’era più traccia di quella timidezza e diffidenza che mostrava prima. Giovanni lo guardò, sentì dentro di sé salire un moto di tenerezza verso l’animale. Si piegò sulle ginocchia, sollevò una mano e la posò con delicatezza sulla testolina del cane. Prese ad accarezzarlo. In quell’istante, memore dell’apparizione (doveva trattarsi proprio di un’apparizione, non poteva essere altrimenti!), ripensò al terribile impulso di cui era stato preda pochi istanti prima. Farla finita era facile. Troppo facile. Ma poteva non essere giusto. Giovanni allora lo comprese. E forse, esisteva, soprattutto a Natale, il modo per non sentirsi solo. Si rimise eretto, improvvisamente più ottimista. “Grazie, amore mio!” disse con lo sguardo rivolto al cielo, e si incamminò verso la parrocchia di Don Luigi, chiamando verso di sé il cane. L’animale, placido, lo seguì come se non aspettasse altro.”

Estratto dal racconto: Riders on the storm

"... Intanto il lieve ansare dell’uomo si trasformò lentamente in un suono, che dopo pochi secondi,William riconobbe come quello di una sommessa e beffarda risata. A poco a poco la vita stava abbandonando il suo corpo. Le sue funzioni vitali si stavano lentamente spegnendo. Pur consapevole dell’assurda situazione e dell’inutilità di ogni intenzione, William provò di nuovo a emettere un suono. Provò a gridare “Aiuto!”, ma dalla bocca non uscì fuori che un flebile alito. Intanto la risata sommessa dell’uomo si era alzata di volume. A William parve che nell’aria si diffondessero delle note musicali. Si, sembravano proprio quelle di Riders on the storm.Jim stava cantando “…There`s a killer on the road / His brain is squirmin` like a toad / Take a long holiday / Let your children play / If you give this man a ride / Sweet family will die / Killer on the road…”. Era finita. Inevitabilmente finita. William allora se ne rese conto, in quei tragici istanti. Non restava che raccomandarsi l’anima a Dio. O al Diavolo. Ma a quel punto non aveva più importanza. Chiuse l’unico occhio aperto, abbandonando ogni pensiero e ogni speranza, affinché Madame la Morte se lo portasse via. Pochi secondi dopo, sul luogo giaceva solo il suo cadavere, ormai fradicio. Poco più in alto, la carcassa dell’auto. Sul terriccio nei pressi del corpo, due profonde impronte, ormai indistinguibili e parzialmente cancellate dalla pioggia, la quale batteva incessante sulle foglie marce che tappezzavano il terreno accidentato. In lontananza un lampo di luce squarciava il profondo buio del cielo, mentre aleggiavano nell’aria le note di un famoso brano dei Doors."

Estratto dal racconto: Il pc dispettoso

"... Mentre stava pensando a quello, anziché sentirsi risollevare il morale, Paolo precipitò ancor di più nell’angoscia. E che cavolo! Da ciò che gli aveva raccontato Giorgio, Artemagni si era da subito convinto di quella tesi, e il colpevole era lui. Soltanto lui. Che sfiga maledetta. Proprio quando le cose sembravano essersi messe per il meglio. Nel frattempo, quasi con fare distratto, aveva cliccato sull’icona del file, che si era aperto. D’improvviso, Paolo strabuzzò gli occhi. Quello che gli era apparso davanti ai globi oculari era qualcosa di assurdo. Il testo del racconto era in parte cancellato, in parte spaziato ed era stata un po’ ovunque stravolta la formattazione. Ma la cosa che più lo fece restare interdetto fu la presenza, a intervalli regolari lungo tutto il testo, della scritta: STEVEN NON DEVE MORIRE!!!! Sconcertato, Paolo scorse il resto del racconto e vide che, ogni tre o quattro righe, si ripeteva la stessa frase. Addirittura, al termine del racconto, al posto della parola FINE, c’era in bella mostra una sfilza di quelle frasi, copiate e ripetute come fossero opera di un ossesso: STEVEN NON DEVE MORIRE!!!! STEVEN NON DEVE MORIRE!!!! STEVEN NON DEVE MORIRE!!!! STEVEN NON DEVE MORIRE!!!! STEVEN NON DEVE MORIRE!!!! STEVEN NON DEVE MORIRE!!!!"

 Estratto dal racconto: Una storia alfabetica



"... Raccapriccianti urla intanto cominciarono a diffondersi nell’aria circostante. Grida dalle tonalità disumane. I due gemelli non riuscivano a comprendere chi potesse emettere quelle terribili grida. Le fiamme si attenuarono progressivamente nell’arco di qualche minuto, fino a quasi diventare dei piccoli fuocherelli. Osservando meglio la scena, York e William poterono rendersi conto che l’incendio si era sviluppato in un’area delimitata da un perimetro quasi perfettamente circolare. Tale perimetro circondava una zona più depressa rispetto al terreno circostante. Tuttavia, nessuna delle persone che erano ferme sul bordo della zona incendiata accennava a fare un qualsiasi movimento. Erano tutti immobili o quasi, in attesa di qualcosa. O meglio, come se fossero spettatori di “qualcosa” che stava accadendo all’interno dell’area circoscritta dalle fiamme. Spinti da una curiosità ormai giunta a livelli parossistici, superando anche la paura di essere scoperti dal proprio padre, fuori di casa a quell’ora, i due gemelli decisero di muoversi dal proprio punto di osservazione (o meglio York decise, trascinando come al solito anche William), salendo sulle biciclette e iniziando ad avvicinarsi al punto in cui erano assembrate tutte quelle persone. Intanto, le grida non accennavano a diminuire di intensità. Si trattava però di suoni un po’ meno “disumani”, pur continuando a essere del tutto incomprensibili. Dopo un breve tratto percorso a cavallo delle biciclette, i due gemelli giunsero nei pressi della cinta di uomini. Riconobbero, tra le tante persone sopraggiunte, il proprio padre, il vecchio Glenn, il sindaco, lo sceriffo e tanti altri uomini in divisa."

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